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Hikikomori: 10mila giovani italiani autoreclusi

Immagine del redattore: direttoredirettore

Forse non ne usciremo più, anche se il più o il mai, nelle vicende umane, è impossibile da usare. La domanda

se usciremo migliorati o peggiorati

dalla quarantena forse è quella sbagliata, probabilmente bisognerebbe chiedersi quanti vorranno davvero uscirne, ma non dalla pandemia, starsene proprio fuori da tutto, o quasi. Hikikomori (letteralmente significa stare in disparte) nato negli anni ottanta come moda, in Giappone, è poi diventato uno stato patologico, una sindrome di cui sono infettati, silenziosamente milioni di

giovani, dall’adolescenza ai 30 anni.

Dal Giappone, l’Hikikomori, si è espanso, è arrivato in Occidente: in Italia più di 100.000 ragazzi si sono rinchiusi in camera, dentro casa, precludendosi i rapporti sociali fisici con chi abbia continuato a vivere anche il mondo di fuori. Queste persone sono colpite da una sindrome invisibile, perché ancora sconosciuta ai medici, una malattia subdola, sottovalutata o confusa, ora con la depressione, la schizofrenia, un disturbo della personalità e altre forme patologiche di fobia sociale. Curata in modo erroneo.

È una scelta, che può diventare, irreversibile e malattia cronica, di sicurezza

sociale assoluta, di asocialità come vittoria sopra ogni pericolo.

La gigantesca quarantena determinata dalla pandemia da covid19 ha rinchiuso in casa miliardi di persone dando legittimazione scientifica e benefica al vivere in disparte, il meno persone possibile. Un isolamento salvifico. Stare da soli è buono, fa bene a te e agli altri. il rischio è proprio questo: già milioni di ragazzi praticavano l’isolamento salvifico. Ora questo farmaco lo hanno tracannato miliardi di persone. Rispetto al covid la scienza non ci ha spiegato bene cosa sia successo o stia accadendo, non ha saputo o non ha voluto farlo, lo stesso è accaduto con la politica, l’informazione. Tutte le risposte sono state evasive, parziali. Il mondo si è salvato perché si è chiuso, incarcerato quasi. Un paradosso, fin qui fuori dal mondo ci stavano gli inadeguati, quelli che non erano capaci di inserirsi, andavano a formare le marginalità, e quando le emarginazioni diventavano moleste a esse si applicavano misure più stringenti di isolamento.

La cura migliore, immutata nelle evoluzioni sociali, era, è il carcere: chi turba la sicurezza comune va rinchiuso. Si tolgono alcuni per difendere i più. La pandemia sovverte tutto e indica un rimedio straordinario: ci chiudiamo i blindati alle nostre spalle e ci guadagniamo la salvezza, nulla ci turberà più. Nelle quarantene si sono poi scisse le categorie umane che svolgono mestieri essenziali da quelle che sono addette ad attività di cui in emergenza si può fare a meno: un film, un libro, una poesia, un quadro, un’opera teatrale. L’arte non mette carne intorno alle ossa, e per lo spirito ci sarà tempo di un pasto futuro.

E se si volesse: molte delle persone, funzionali alla produzione di beni e servizi insopprimibili, potrebbero sostituirsi con elementi meccanici. E davvero, il rischio concreto sarà che moltissimi saranno tentati di non uscire dalla quarantena: di ritenere sanità un morbo che chiude a chiave le porte.

>>> riflessione di Gioacchino Criaco (Il Riformista 23 aprile 2020)

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