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Intelligenza artificiale & scuola. È finita l’era dei compiti a casa?

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Gianna Fregonara con il suo artico del 21 febbraio scorso sulle pagine di "7 " magazine del Corriere della sera ci suggerisce che esistono soluzioni da provare a fronte di ciò che il nuovo chatbot ChatGPT (che scrive testi, effettua traduzioni, risolve problemi matematici pescando nell’enciclopedia universale che è la rete) rischia di mandare in pensione un modello (di scuola e di apprendimento) che dura da cent’anni. Ad onore del vero il nuovo chatbot ChatGPT, che minaccia di cambiare per sempre alcune nostre abitudini di scrittura, per ora se la cava meglio a produrre un articolo di Formula Uno che una parafrasi del Cinque Maggio di Alessandro Manzoni.

Ma dategli tempo qualche mese e non sarà più così: il software intelligente di OpenAI, rilasciato a novembre, non è soltanto un motore di ricerca come Google, che ordina i risultati trovati nel web. Riesce a scrivere testi, generare report, inventare poesie, risolvere problemi complessi e molto altro “pescando” nell’enciclopedia universale che è la rete ed elaborandoli secondo le indicazioni ricevute.

Esperti di didattica, professori e presidi sono in allarme: è la fine dei compiti a casa perché chiunque può copiare da un compagno “artificiale” più bravo di lui? O si avvicina addirittura la fine del modello didattico di una scuola che rischia di preparare gli studenti al mondo di ieri invece che a quello di domani?

L’allarme è scattato, come ovvio, negli Stati Uniti: i direttori dei distretti scolastici di New York, Los Angeles e Seattle hanno vietato agli studenti l’uso di computer che hanno accesso a sistemi di Intelligenza artificiale. Obiettivo: prendere tempo per trovare soluzioni didattiche efficaci. Le università australiane stanno valutando se tornare a carta e penna.

«I motori di ricerca ordinano i risultati delle nostre ricerche a seconda della rilevanza, ChatGPT è un vero e proprio assistente digitale che, se interrogato correttamente, può creare testi originali coerenti e corretti: capisco le preoccupazioni e l’inquietudine perché rischia di rendere obsoleti nel giro di qualche mese i compiti a casa basati sulla compilazione di testi o la risoluzione di problemi», spiega Paolo Ferri, professore di Tecnologie per la didattica all’Università Bicocca di Milano. Non solo però i compiti tradizionali rischiano di essere superati.

Potrebbe anche mandare in pensione un modello scolastico che dura da cent’anni

troppo facile per gli studenti farsi sostituire da ChatGPT e copiare, troppo difficile per i professori scoprirli. «Le potenzialità di ChatGPT sono immense, quello che possiamo fare noi è controllare il suo lavoro, ma apparentemente con la scrittura è più rapido e accurato».

Non sempre. Con il Cinque Maggio , per esempio, non prenderebbe sei. Pensa infatti che sia «una poesia scritta da Alessandro Manzoni, che celebra la vittoria dei Milanesi contro gli Austriaci nel 1796, descrivendo l’eroismo e la dedizione dei soldati milanesi nella lotta per la libertà e l’indipendenza contro il dominio straniero». Ci vogliono almeno due domande circostanziate (di chi sa di che tratta) per condurlo alla risposta corretta. Ma gli strafalcioni non ci consentono di tirare un sospiro di sollievo. Tanto per cominciare, continua Ferri, «bisognerebbe insegnare agli studenti come usarlo. Per i compiti si dovrà puntare a lavori non compilativi, che richiedano originalità, capacità di fare connessioni, di usare spirito critico. Parafrasi e riassunti si potranno fare solo in classe. Ma più in generale, per competere con ChatGPT, bisognerebbe convincere gli studenti che a scuola si va per apprendere e che copiare non serve».

Enrico Galiano, scrittore e professore in cattedra all’istituto comprensivo di Chions in provincia di Pordenone, ha interrogato ChatGPT proprio sul suo terreno. Gli ha chiesto: come posso evitare che gli studenti copino? «Tra i sette consigli» racconta «mi ha suggerito l’uso dei software antiplagio e di modificare la mia didattica». Risposta intelligente, non c’è dubbio, e un bel suggerimento per i docenti: «Intanto l’Intelligenza artificiale pone un problema ben più ampio che quello scolastico a partire dal diritto di proprietà intellettuale. Quanto alla scuola noi professori saremo costretti a rivedere la nostra ossessione per il controllo e il copiare. Metterebbe in crisi un sistema scolastico improntato al risultato e alla performance in quella che è ormai una guerra continua tra studenti e professori, che non sempre ricordano che il fine della scuola è apprendere e non solo la verifica dell’apprendimento».

Ma non serve aver paura della tecnologia: in prospettiva, una volta che ChatGPT avrà imparato poesie e autori anche italiani, secondo Galiano, potrebbe anche essere un utile aiuto a cui delegare alcune attività: «Del resto oggi nessuno si sognerebbe di andare a fare una ricerca scolastica in biblioteca. Quello che servirà sempre di più in futuro agli studenti non è la raccolta delle informazioni ma la capacità di lettura critica di che cosa ti dice l’intelligenza artificiale». Più facile però a dirsi che a farsi: per gli insegnanti ci vorrebbero «corsi di formazione aggiuntivi che permettano a tutti di essere in grado di comunicare con una generazione che è più veloce di noi nell’interagire con la tecnologia».

In realtà non ci voleva ChatGPT per sollevare il tema di come cambiare la didattica e anche i compiti a casa ai tempi di internet: è pieno il web di App che risolvono equazioni complesse, che traducono all’impronta dal greco e dal latino per non dire dall’inglese o dal francese. Chiedere poi ad uno studente di fare una ricerca di storia dell’arte o di tecnologia è da considerarsi un’istigazione al plagio vista la mole di documenti e di lavori già pronti che si trovano in rete senza neppure cercare troppo. In fondo ChatGPT potrebbe essere (o diventare) troppo sofisticato per il lavoro che è richiesto a scuola.

Ci sono professori che ancora non si sono rassegnati a cambiare il loro metodo neppure dopo lo shock tecnologico creato dall’emergenza della pandemia del Covid-19, ma sono stati decine di migliaia quelli che nello scorso biennio hanno frequentato corsi - online ovviamente - offerti dalle università per adattare compiti e verifiche. Più in generale del problema si sono occupati anche la politica e l’Europa: esiste un Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027 della Commissione europea e una Strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale pubblicata dal ministero dello Sviluppo economico in cui si legge che c’è bisogno «di riprogettare il curriculum delle scuole affinché includa gli apprendimenti nel campo dell’Intelligenza artificiale e dei dati e di prevedere investimenti per favorire l’aggiornamento delle competenze degli studenti e del corpo docente».

Nell’agosto scorso è stato anche annunciato, tra gli investimenti del Pnrr, il Piano Scuola 4.0: oltre due miliardi per costruire entro il 2025 centomila classi innovative e laboratori per le professioni digitali del futuro. Insomma, se non fosse che ora è quasi tutto soltanto sulla carta, dovrebbe essere molto di più delle cosiddette flipped class (classi rovesciate, dove a scuola si fanno i compiti e gli esperimenti e a casa si impara la teoria), che finora avevano costituito l’avanguardia della didattica ai tempi del web. Anche il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara spinge per integrare le nuove risorse della tecnologia nella scuola: «Ritengo necessaria un’educazione digitale che comprenda l’uso responsabile della tecnologia, la cybersicurezza e l’apprendimento delle principali competenze digitali, come la programmazione e l’analisi dei dati. Non dobbiamo avere paura dell’Intelligenza Artificiale,dobbiamo semplicemente governarla e introdurla nelle scuole all’interno di un protocollo di regole. Questo presuppone una adeguata formazione dei docenti, ma se ben guidati i ragazzi potranno accrescere le proprie abilità e coltivare meglio i talenti, che è il vero obiettivo di una scuola all’altezza delle sfide del futuro».

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